Riuscire a comunicare valori e idee aziendali è sempre più importante nel mondo moderno, spesso distratto e iper veloce. Ecco perché occorre progettare una doppia struttura digitale in grado di sostenere parole e azioni. Stiamo parlando delle campagne di storytelling e storydoing, concetti così simili e così diversi tra loro: analizziamoli.
Si legano a doppio filo, l’uno non esclude l’altro e insieme rendono il brand forte e apprezzato. Se dello storytelling abbiamo parlato spesso, intendendo con esso la narrazione accattivante di storie per avvicinare il pubblico target, l’obiettivo dello storydoing è quello di passare dalle parole ai fatti creando esperienze alle quali sia possibile per le persone prendere parte in modo da condividerle. Si scende dunque sul piano reale, traslando qui i valori che delineano l’azione del brand.
Ad ogni modo, c’è da dire che storytelling e storydoing non sono inscindibili (certe aziende possono fare buone azioni ma decidere di non raccontarle).
Un gioco di squadra con l’obiettivo di creare relazioni di valore
In genere si pensa che debba esserci una sorta di gerarchia tra storytelling e storydoing, un vincitore tra i due, ma non è così. I due ambiti giocano di squadra con l’obiettivo comune di creare una relazione di valore con il pubblico target. Da un lato si racconta, mentre dall’altro si crea la sostanza da plasmare per essere oggetto di racconto. Ci sono alcuni elementi relativi allo storydoing che spiccano per importanza, in primis le persone. Esse giocano un ruolo importante per ciò che concerne la comunicazione, a cominciare dalla figura dell’amministratore delegato che dell’azienda rappresenta il volto pubblico (punta a incarnare i valori dell’impresa e se ne fa promotore).
Lo storydoing non si riduce alla messa in atto di comportamenti in linea con certi valori (come pulire zone verdi nel nome della protezione ambientale): occorre agire in modo concreto, plasmando e calibrando l’offerta dell’azienda per un determinato mercato. La pandemia da Covid 19 ha messo ad esempio in evidenza moltissimi atteggiamenti di storydoing virtuosi, come quelli delle realtà aziendali che hanno convertito la loro produzione o adattato alle richieste del mercato certi prodotti per favorire il superamento dell’emergenza.
I segnali dello storydoing e come riconoscerli
Generalmente si può capire quando un’azienda porti avanti un’attività di storydoing in presenza di alcuni indicatori. Se quella realtà possiede una storia, votata all’obiettivo di rendere il pianeta più bello e vivibile, e da quella storia si sviluppano gesti reali e tangibili relativi in primis all’organizzazione stessa, allora è probabile che i clienti vorranno prendere parte a quella stessa mission.
Si crea insomma un circuito virtuoso fatto di buoni propositi e buone azioni tangibili. Si mette a frutto la propria storia, specie se green e sostenibile, per creare un legame di fiducia autentico con le persone: ciò si traduce in un importante vantaggio competitivo. Le persone saranno infatti portate a scegliere prodotti e servizi sia sulla base del modo in cui essi vengono raccontati (storytelling) ma anche dal livello di identificazione raggiunto con il marchio stesso. Ricapitolando:
- Un’azienda che non fa storytelling né storydoing è statica e non propositiva.
- Un’azienda che fa entrambe le attività percorre un cammino vincente.
- Chi fa solo storytelling punta su un tipo di comunicazione incompleto.
- Chi fa solo storydoing non valorizza al meglio le proprie azioni limitando lo sviluppo del business.
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Ultimo aggiornamento: 12/01/2021