L’aggiornamento più recente di Google promette di cambiare non le pagine dei risultati delle aziende, ma la vita di molte persone. È infatti notizia degli scorsi giorni un nuovo algoritmo di Big G che mira a proteggere gli utenti dal “slander-peddling”.
Con questo nome si intende un’attività mirata a rovinare la reputazione di una persona condividendo notizie false su di essa nel Web. In una recente inchiesta del New York Times, è emerso come questo fenomeno abbia colpito migliaia di individui, colpevoli di aver fatto un torto alla persona sbagliata.
Cos’è lo slander-peddling
Nell’articolo pubblicato ad aprile sul New York Times, Kashmir Hill racconta la storia di una delle vittime di questa attività online, che cercando il proprio nome e cognome su Google trovò decine e decine di risultati scioccanti. Google mostrava un vero e proprio network di siti che pubblicavano contenuti diffamatori nei suoi confronti, accusandolo di reati che andavano dalla truffa alla pedofilia.
Sempre secondo il NYT, la pubblicazione in serie di contenuti diffamatori è un problema che si trascina da molti anni. In sostanza, assistiamo a un circolo vizioso in base al quale:
- Siti poco affidabili pubblicano decine di articoli dal tono calunniatorio verso le loro vittime;
- Gli articoli entrano nel meccanismo di ranking, scalando molto facilmente le posizioni in SERP per la query corrispondente al nome e cognome delle vittime;
- Chiunque cerchi queste informazioni su Google trova ai primi posti un articolo diffamatorio;
- In alcuni casi, i webmaster che hanno dato il la a questa diffamazione chiedono un riscatto alle vittime per porre fine alla questione.
Le conseguenze di questo fenomeno sono potenzialmente catastrofiche. Immagina un datore di lavoro che cerca il nome e cognome di un potenziale candidato per un colloquio, oppure una persona che vuole confrontare due professionisti online e trova tra i risultati una serie di pesanti accuse verso uno dei due.
Il problema di Google
Google è in guerra contro lo spam e i contenuti scadenti dall’avvento di Panda, l’update che ha introdotto una chiara distinzione fra contributi di qualità e post-spazzatura.
Secondo Pandu Nayak, vicepresidente di Google Search, i sistemi di Google sono molto avanzati nel far emergere i contenuti di qualità. Nonostante ciò, alcune query sono più sensibili all’azione di malintenzionati e hanno bisogno di un controllo mirato.
Un primo esempio di controllo mirato ci è dato da un aggiornamento di policy del 2018: gli utenti possono segnalare a Google dei siti Web contenenti informazioni sensibili su di essi. Se le segnalazioni si accumulano nel tempo, Google le considera come un fattore di ranking e andrà a penalizzare i siti illeciti.
Se da un lato questi sistemi di prevenzione sono molto all’avanguardia rispetto agli altri motori di ricerca, dall’altro lato il New York Times ha sottolineato come non si siano rivelati sufficienti. Questi casi di diffamazione hanno infatti reso visibile una falla negli algoritmi di Google, data la facilità con cui si sono diffusi, nonostante provenissero da siti spam.
È bastato copiare e incollare le stesse accuse su decine di siti di bassa qualità per farli schizzare in cima alla pagina dei risultati. Fortunatamente, grazie alle recenti mosse di Google, in futuro questo stratagemma sarà molto più difficile da mettere in pratica.
La soluzione offerta da Google
Tramite il suo ultimo aggiornamento, Google ha allargato alla diffamazione la protezione già offerta per il revenge porn, cioè la condivisione di contenuti espliciti senza il consenso della vittima.
Se una persona vittima di diffamazione online segnala un contenuto illecito, Google applicherà quindi delle protezioni nel meccanismo di ranking per contenuti simili. Lo scopo è quello di evitare che il problema si moltiplichi, bloccando sul nascere il copia-incolla delle accuse da parte di altri siti di bassa qualità. In questo modo, Google spera di arginare la diffusione indiscriminata di contenuti ingiuriosi, creati al solo scopo di rovinare la reputazione altrui.
Sembra che questi aggiornamenti stiano già funzionando: in un articolo di pochi giorni fa, il New York Times è tornato sul tema della diffamazione online e ha testato la nuova policy di Google. Il punto di partenza è stata la creazione di un databasedi circa 47.000 persone che avevano subìto dello slander-peddling.
Prima del nuovo algoritmo, cercare i nomi e cognomi di queste persone su Google avrebbe prodotto una SERP colma di siti diffamatori. Oggi, i contenuti offensivi sono scalati oltre la prima pagina dei risultati, e le immagini ingiuriose sono state rimosse.
Questo aggiornamento rappresenta un punto di svolta per Google, considerato che per anni il colosso di Mountain View si è tenuto ben lontano dall’intervenire direttamente sui contenuti che ospitava al suo interno.
La neutralità di Google: ambasciator non porta pena?
Il tema della neutralità di Google rispetto ai suoi contenuti ha tenuto banco per molti anni. Già nel 2004 l’azienda si espresse in modo contrario sulla possibilità di eliminare risultati di ricerca offensivi, nonostante cercare il termine “Jew” su Google riportasse in SERP decine di articoli antisemiti.
Dieci anni dopo, nel 2014, la politica di Google rispetto ai risultati di ricerca non era cambiata di una virgola. Grazie alla normativa europea sul diritto all’oblio, l’azienda di Mountain View ha però aperto alla possibilità di nascondere dalle SERP i contenuti segnalati come illeciti.
Anche la scelta di dotarsi dei quality rater si muove in questa direzione. Dato che nessun algoritmo è in grado di cogliere tutte le sfumature tra un contenuto lecito e uno illecito, Google ha assunto delle persone per valutare caso per caso le segnalazioni degli utenti. Se il contenuto segnalato non rispetta le guidelines del motore di ricerca, subirà una penalizzazione manuale.
Con il nuovo algoritmo sullo slander-peddling, Google promette un passo avanti per fornire dei servizi di qualità sempre maggiore, ma rimangono molte zone d’ombra. Google processa dalle 40.000 alle 60.000 query al secondo, scansionando un’enorme mole di contenuti per offrirli in SERP. L’indice del motore di ricerca è pressoché infinito, e Google non ha i mezzi per controllare ogni singolo sito e rimuoverlo all’istante.
Per questo, il meccanismo di penalizzazione si mette in moto solo in presenza di un reclamo da parte degli utenti. Questo significa però che siti diffamatori nati da poco rischiano comunque di causare molti danni prima che il motore di ricerca se ne accorga. Oltretutto, questi portali potrebbero scoprire dei nuovi stratagemmi per continuare indisturbati la loro attività.
Prima di risolvere del tutto il problema servirà quindi molto tempo, e la battaglia contro lo slander-peddling rischia di non avere conseguenze, senza un intervento del legislatore e un cambiamento culturale sull’utilizzo di Internet. Nonostante questo, il nuovo algoritmo di Google rappresenta un importante segnale per rendere il Web un posto più sicuro per tutti.
Cosa possiamo fare per te
L’algoritmo sullo slander-peddling offre un prezioso strumento per gestire la propria reputazione online, ed evitare che post diffamatori e falsi la intacchino. Se hai un progetto online che è stato colpito da fenomeni di questo genere, LinkJuice può aiutarti a risollevarlo, affiancandoti per tenere sotto controllo e migliorare la tua Web reputation. Contattaci per saperne di più!